Dal Messaggero Veneto del 14/01/1996
Oggi Renzo Valente compie 80 anni e domani, alle 18, sarà festeggiato da colleghi e autorità cittadine a palazzo Belgrado, sede dell’Amministrazione provinciale, per iniziativa del Circolo della stampa. É stata una faticaccia coinvolgerlo nella festa, lui che è sempre stato schivo, che ha sempre cercato di defilarsi da questo genere di manifestazioni. E non ci tiene neanche agli auguri (“mi bastano quelli di Natale – ha scritto una volta – li metto da parte anche per il 14 gennaio e per il 10 agosto”, giorno di San Lorenzo). Forse si arrabbierà persino leggendo queste note… Ma quello di oggi è un 14 gennaio speciale, che segna un traguardo invidiabile (perchè Renzo vi arriva in buona salute – soprattutto – e ancora in piena attività creativa e dal suo Piccolo mondo, proprio su queste pagine, continua a “vigilare” sulla città, pronto ai rimbrotti davanti a brutture e a scempi urbanistici): come si fa a non cogliere questa occasione?
Qualche volta sembra scoraggiato e demotivato (“Sono stufo di scrivere, in fondo dico sempre le stesse cose”), ma poi nelle sue passeggiate incontra questo o quel patito della vecchia Udine che si complimenta (“Bravissimo, hai scritto bene: demolire il cinema Eden è stato un vero crimine!”; oppure: “Eh, il Fornaretto, quello sì era un locale, prima che i cinesi …”) e gli ridà la carica. Certo, gli argomenti sono sempre quelli, ma tornano di attualità e lui sa riproporli al momento giusto. Prendiamo le rogge. Fin da bambino sono state uno dei suoi grandi amori, come i giardini Ricasoli dove lo portava la mamma (e non c’erano altri divertimenti). La roggia di via Zanon a quell’epoca era il suo Rubicone: Guai a ti se te passi la roia, lo ammoniva la madre e capitò che un bel giorno il piccolo Renzo uscisse dai confini consentiti di piazza San Giacomo affrontando l’ebbrezza del proibito e arrivando, fino in via Poscolle. Molte rogge non ci sono più e Valente rimpiange “i ponticelli di via Grazzano e di via Gorghi traditi”. Ma non solo lui. É uscito di recente un libro che rievoca la Udine dei secoli scorsi, una “piccola città d’acque” con le rogge non solo in funzione paesaggistica, ma soprattutto economica, dove gli opifici, le officine e gli artigiani ne sfruttavano le acque; per non dire dell’uso che ne facevano gli orticoltori e le lavandaie. Quel libro è anche il risultato di una nuova coscienza della città che vuole recuperare culturalmente il passato, se non proprio ripristinarlo. Sarebbe bello scoprire i tratti di via Gorghi e via Grazzano, ma tutte quelle auto dove le mettiamo?
Anche “Quando Udine era un paese col tram” è uno dei leitmotiv di Valente, che delle traballanti vetture verdi delle due linee cittadine (stazione-porta Gemona, piazza Vittorio-Santa Caterina) e del “coniglietto bianco” della Udine-Tricesimo-Tarcento ha fatto una piccola epopea. Oggi nessuno si sognerebbe di rimettere sui binari i tram, allora signori indiscussi delle vie del centro; oggi l’aspirazione è quella di una città meno frenetica, nella quale i pedoni possano sopravvivere allo smog sempre più fitto e insidioso e all’invadenza delle auto. Di fronte alla realtà odierna non è solo lui ad avere nostalgia del passato…
Prima al Popolo del Friuli, poi alla direzione della rivista Il Friuli dell’Ept, infine con la sua rubrica al Punto di Piero Fortuna, Renzo Valente ha sempre fatto il giornalista della città. Ma il suo miracolo sempreverde si chiama Udine 16 millimetri, il fortunato titolo-collage dei racconti e raccontini che sta scrivendo da cinquant’anni a questa parte. Un titolo cinematografico che rende perfettamente il suo lavoro: ricostruire con esattezza fotografica la vita della città attraverso momenti, fatti, figure, ambienti (a passo ridotto, visto che si tratta di piccoli, seppur significativi, eventi). I racconti cominciò a pubblicarli nel 1955, quando nacque il Messaggero del lunedi che istituì una pagina di cultura locale. La prima raccolta usci nel 1962; seguirono altre sei edizioni, l’ultima delle quali rispunta sotto le feste. In effetti, Udine 16 millimetri (con le preziose foto d’epoca di Pignat, Brisighelli, Tino e disegni di Caucigh, Pittino, Aldo Merlo e Mitri) è una strenna buona per ogni Natale. I motivi del successo sono stati analizzati da fior di critici e storici. Arturo Manzano parla di “un mosaico con accostamenti amorosi e commossi, oppure allusivi e maliziosi”. Dino Menichini di “un’alta, squisita, ininterrotta dichiarazione d’amore di Valente alla sua città”, una Udine “che ha la dimensione dell’anima”. Umberto Zanfagnini si chiede a quale genere appartengano i racconti di Valente e li qualifica come “pezzi di colore, il genere giornalistico inaugurato dal Baretti fin dal Settecento”. Tiziano Tessitori propende invece per il genere autobiografico, in quanto quegli scritti contengono la storia dell’autore, attraverso “l’umile gente minuta in mezzo alla quale è vissuto”.
Autobiografico, certo, anche perchè “Valente ha la rara, oggi miracolosa, capacità – come scrive Menichini – di saper sorridere di sè prima che degli altri”. Persino dei suoi familiari, come le famose tre zie di via Manin, che lo portavano alla tombola di Ferragosto in Giardin Grande (“ogni anno andavano per uno, come era stato per tutta la vita con i mariti: più di una volta furono lì lì per prenderne uno e non vi riuscirono mai …”).
E sorride della Udine di allora, che definisce “una città pacioccona, credulona, indolente, indulgente, conciliante”. Con i suoi personaggi: il maestro Garzoni “in cilindro, coda di rondine e patacche sul petto”; la maschera del campo Moretti, “Fortunello”, che chiudeva un occhio lasciando passare i ragazzi senza biglietto (ma lui non osava: “E alora te movistu, mona?”); la maestra Lavarini, il giardiniere Giosuè, il poeta Emilio Girardini, ormai cieco, che Renzo accompagnava nelle passeggiate.
La città, le persone, il linguaggio parlato: Valente è rimasto l’ultimo a difendere quel tanto bistrattato dialetto veneto-udinese ormai in disuso. E anche in questo sta la sua originalità, la sua forza di presa sul lettore. Un paio di mesi fa, il dottor Lucio Costantini insorse, con una lettera, in favore del dialetto udinese, proponendo persino di realizzare un dizionario prima che esso si estingua del tutto. Se non un dizionario, un bel florilegio c’è già, raccolto in Udine 16 millimetri.
Ad multos annos, caro Renso !
Mario Blasoni