Dal Messaggero Veneto del 15/03/2002
Addio Renzo Valente
Nel giro di pochi giorni sono scomparsi due emblematici friulani: Renzo Valente e Riedo Puppo. Il primo, cantore di Udine, il secondo del Friuli e della sua lingua. Con loro è senz’altro scomparsa un’epoca che essi hanno saputo ricordare e rinvigorire, un’epoca di cui lasciano l’eredità di un profondo amore per la propria terra.
Renzo Valente ha ricordato fino all’ultimo, con il suo caratteristico dialetto udinese, quella che era Udine col tram; Riedo Puppo ha anche lui, fino all’ultimo, resa viva la parlata friulana.
A loro è doveroso rivolgere un pensiero di riconoscenza, un vivo ringraziamento per essere stati fautori della meravigliosa storia del Friuli e della sua capitale.
A me però è particolarmente caro ricordare Renzo Valente che conobbi nel lontano 1939 nella redazione del “Popolo del Friuli” ove mi recavo a recapitare gli articoli di Luigi Comuzzi. In quelle occasioni conobbi pure vari giornalisti: Arturo Manzano, Giorgio Provini, Plinio Palmano, Lino Pilotti, Carlo Serafini, Giuseppe Grinovero e, nei loro incontri tra colleghi, pure Giovanni Maria Coiutti, Riccardo Filipponi, Paolo Rippa tra cui, e mi esalto di averlo conosciuto e più volte incontrato alla “Buona vite” di via Treppo, Chino Ermacora. Certo che quei nomi per i giovani di oggi non vorranno dir nulla, ma per noi anziani fanno parte di una vita vissuta in un periodo di pace, di valori morali, di ideali, di guerra e di rinascita.
Divenni comunque amico di Valente venti anni or sono quando venne nel mio ufficio a ritirare la tessera di ex combattente. «Ora – mi disse – dobbiamo darci del tu perché portiamo lo stesso nome». Gli dicevo che ero nato in via del Pozzo e che a sei anni, prima che la mia famiglia fosse trasferita a Cussignacco, correvo più volte al giorno, con il mio triciclo, a vedere passare il tram in via Aquileia. Naturalmente i nostri discorsi comprendevano il periodo della guerra e lui mi parlava della sua Arma dell’Aeronautica, di via Grazzano e della Libia, io della Grecia e della mia prigionia in Germania.
Un giorno ci incontrammo in piazza San Giacomo e lui, guardando verso via del Monte ove un tempo era la sua casa, mi diceva che lì era il museo della sua infanzia e che lì, proprio lì, aveva vissuto i migliori anni della sua giovinezza. Mi accennò a un incendio in quella via e io gli dissi che a quell’incendio intervenne mio papà, civico pompiere. Insomma, la nostra amicizia si concretizzò sempre più e il mio più grande dispiacere è ora quello di non aver potuto partecipare ai suoi funerali perché impegnato in un’importante cerimonia.
Gli dissi un giorno che i suoi scritti pubblicati sul Messaggero Veneto li mandavo regolarmente a mio fratello a Buenos Aires e che lui faceva decine di fotocopie per distribuirle ai connazionali friulani. Mi fissò senza proferir parola e dai suoi occhi vidi spuntare le lacrime stringendomi in un forte abbraccio. Quando vado in piazza San Giacomo, e ci vado due volte alla settimana, rivolgo lo sguardo verso via del Monte e penso a Renzo Valente mentre da via Mercatovecchio sento sferragliare il tram di Udine, come in un sogno.
Addio Riedo Puppo, addio Renzo Valente, chi canterà ora come avete saputo fare voi, la nostra cara Udine, il nostro Friuli e la sua lingua?
Renzo Flaibani
Campoformido
Dal Messaggero Veneto del 05/04/2002
Lettera a Renzo Valente
Ti conobbi sulla metà degli anni Trenta, durante la stagione estiva, quando accompagnavi il poeta Emilio Girardini nelle sue passeggiate nel centro di Tricesimo e nei dintorni. Eri un giovanotto bruno che veniva dalla città, che parlava veneto, i capelli lisci alla Ramon Novarro e le ragazze del paese che ti guardavano con interesse. È un giornalista, dicevano, un intellettuale, e fantasticavano.
A sera, finite le tue mansioni con il poeta, lasciavi la villa di Borgobello e scendevi in paese a prendere il tram che ti portava a Udine. Metodico, riservato, si capiva da lontano che eri quello che dicevano loro, le ragazze.
Nell’estate del ’37 ebbi la fortuna di sostituirti presso il poeta Girardini nelle passeggiate, nelle letture, nello scrivere sotto dettatura le ultime sue poesie. Mancato ai vivi il poeta nel ’46, all’età di 88 anni, tu, Renzo, continuavi a frequentare la villa allora abitata dall’avvocato Umberto Zanfagnini e dalla sua famiglia, ogni domenica puntualmente invitato a pranzo, alle passeggiate, a continuare insomma le consuetudini dettate dal poeta Girardini durante la sua lunga, esemplare esistenza.
Una consuetudine che continuò anche dopo la scomparsa dell’onorevole Umberto Zanfagnini la cui famiglia volle ancora godere della compagnia del caro Renzo come ti chiamavano, per la tua pacata, ma acuta conversazione che emergeva malgrado la modestia del tuo carattere fino a penalizzarla.
Ti ricordo a una gita in bicicletta al lago di Cavazzo in compagnia di due graziose ma energiche fanciulle, dove ti mettesti ai remi di una grossa barca che si chiamava Rita.
Una faticaccia per le tue mani abituate alla macchina per scrivere, uno strapazzo quella cinquantina di chilometri in bicicletta per un cittadino abituato al tram e alla sedia del tavolo da lavoro.
Ti ricordo direttore della rivista “Il Friuli Turistico” quando ti portavo quegli articoli che illustravano i nostri paesi e che tu li valutavi con brevi e incisivi commenti nel tuo positivo veneto udinese. Poi gli incontri occasionali a Udine lungo quelle vie che tanto amavi, sempre garbato, sorridente, un gentiluomo. E gli ultimi anni provato dai lutti, sofferente per gli acciacchi dell’età che incombeva, deluso dal presente, nostalgico sempre. Sempre con il ricordo proteso ai bei tempi del sodalizio con il poeta Girardini: sior Emilio come lo chiamavi tu, che a me sembrava una grande confidenza.
E infine ti ricordo com’eri spesso al tempietto di San Pietro di Tricesimo a commemorare il 25 aprile, assieme ai giovani e ai reduci di tutte le guerre: tu aviere combattente negli anni 40 in terra di Libia.
Anche quest’anno saremo lassù a commemorare i Caduti e la nostra Liberazione. E ti assicuro, amico caro, che come tante volte, sarai ancora con noi.
Alan Brusini
Tricesimo