di Renzo Valente
Dal Messaggero Veneto del 13/12/1996
Dopo tanto chiasso un po’ di pace. E’ l’ora delle riflessioni, dei compiacimenti, dei pentimenti e dei rimorsi ma anche quella di sapere che cosa mai vuole la coscienza che già da un pezzo sta tirandomi per la manica. Senti qua, dice, non fare il gnogno come il tuo solito, vieni qua e parliamone. Che cos’hai, che c’è, ti è venuta la tosse? Sospendi sospendi, tirati su, prendi una Valda, tossirai più tardi, e ne avrai ben donde, vedrai.
Intanto il giornale. Che cosa hai fatto? Che cosa gli hai detto? Che cosa gli hai dato ad intendere? Ti ha trattato come un principino. Un bel violino, proprio un bel violino. Sviolinate a non finire, cinque giorni di annunci, di indicazioni, di precisazioni, attenzione che è in lavoro, attenzione che siamo quasi, attenzione che ci siamo, eccolo qua. Non distraetevi, non rimandate, non perdete tempo, se perdete tempo rischiate di non trovarlo più, affrettatevi, compratelo, costa poco, è un affare.
Cinque giorni, anche due volte al giorno, anche fotografie, anche caricature, anche in prima pagina, in copertina direbbe Bianca Berlinguer o Federica Sciarelli, anche in copertina, nella nostra copertina, cinque giorni di bombardamenti, di mitragliamenti, di grancassa, di cornette e di tromboni, anche la Radio, anche la Televisione, addirittura l’appuntamento con l’autore, via, numero, dalle alle, andate là che l’autore vi firma, andate là, e mentre aspettate che l’autore vi metta la firma, potrete anche rendervi conto di come e di che cosa è fatto un autore, andate andate, e mancava poco che dicessero che eri anche bello. Ma va là, va là, dovresti vergognarti, vergognati, sei un buffone, un falsario, un impostore.
La coscienza ha ragione, costa a riconoscerlo, ad ammetterlo, a convenirne, la coscienza ha ragione. Che cosa ho mai fatto di speciale per meritarmi tante attenzioni, tante premure, tanti riguardi? Guardiamoci negli occhi e diciamocelo in faccia quello che dobbiamo dirci. Ho scoperto il mal di denti, ho inventato il moto perpetuo, ho vinto il Giro d’Italia? Macché denti, macché moto perpetuo, macché Giro d’Italia, figurarsi, magari, non ho né scoperto, né inventato, né vinto, ho soltanto pianto e rimpianto, pianto sulle macerie dell’Eden, pianto su quelle del Corazza, su quelle del Puccìni, del Cecchini, dell’Italia, rimpianto il Dorta di via Mercatovecchio che non si riapre più, il passeggio in piazza Vittorio che non si fa più, le donnette di piazza San Giacomo che non ci sono più. Insomma ho fatto il mio comodo. Piangendo e rimpiangendo mi sono ricostruito la mia città perduta, il mio paese col tram, e me la sono goduta prima che muoia per la seconda volta. Vergognarsi? Ebbene mi vergogno. Per un Eden rimesso in piedi ci si può anche vergognare.