Dal Messaggero Veneto del 16/01/1996
“Distu ti quattro parole?”
L’invito di circostanza, bonariamente, ironico, che Renzo Valente rivolge sempre agli amici più cari, a conclusione di un convivio, o di una cerimonia. “Quasi a sottolineare l’inutilità di tanti discorsi”, come gli ha ricordato il Direttore del Messagero Veneto, Sergio Gervasutti, che ieri, a palazzo Belgrado, ha fatto sua questa battuta della grande “Udine 16 millimetri”, per celebrare lo scrittore, festeggiato dalla città il giorno dei suoi ottant’anni. Ma il compleanno era sentito, la platea coinvolta e la cerimonia non ha sofferto il peso dell’ufficialità, travolta dal piacere di dire davvero quattro parole affettuose su chi ha dato dignità letteraria a “un paese col tram”.
Claudio Cojutti, che a nome del Circolo della stampa ha coordinato la manifestazione promossa dal Comune e dalla Provincia, si è subito richiamato all’epopea della città “vista da Valente”: “C’erano i quattro moschettieri del giornalismo, Manzano, Provini, Cojutti e Serafini”, ha ricordato, “e c’erano i guasconi, Fortuna, Benini, Naliato e Valente. La nostra storia è il loro racconto della città”. “Ce ne fossero di giornalisti come Valente”, ha sottolineato il Presidente della Provincia, Pelizzo, “qualcuno si illude di essere bravo raccontando le opinioni. Ma è più importante saper riferire bene i fatti. Valente ha saputo descrivere Udine nella concretezza delle sue vicende. E con stile”.
“Ha saputo cogliere i mutamenti di costume e di comportamento degli udinesi attraverso la lettura degli eventi della città”, gli ha dato atto il sindaco Barazza. “Molti possono avvertite il cambiamento, non è di tutti la capacità di tradurlo. Valente è tra i personaggi che segneranno la Udine di questo secolo”.
“Renzo non è un uomo così mite e gioviale come appare nel suoi scritti”, ha rivelato il direttore Gervasutti. Lui è tutto d’un pezzo, ha una spina dorsale robusta, non tradisce i suoi valori”. Come quando, collaborando al giornale per la rubrica ‘Il piccolo mondo di Renzo Valente” lo scrittore “mi telefona il lunedì mattina e mi segnala: I me gà cavà una virgola”. E’ suscettibile, ha ragione. Ma tu, caro Renzo, sei uno scrittore particolare, un linguista sui generis, hai inventato il dialetto udinese tradotto in italiano”. E per stare al passo “ci vogliono il tuo radicamento nella friulanità e la tua conoscenza dell’italiano”.
Ma l’amicizia data da sempre: “Guardo a Valente come a un grande del giornalismo friulano perchè sa cogliere gli aspetti migliori dell’umanità, la sostanza delle cose e delle persone, che è ciò che conta nel giornalismo e nella narrativa”.
Piero Fortuna, in veste di decano dei cronisti friulani, ha infine soppesato l’opera dello scrittore (che nel 1968 fu insignito del Premio Epifania): “Questo secolo isterico, in cui è accaduto tutto e il suo contrario, ci lascia tante storie. Tu, da raffinato simbolista, hai saputo estrarre la porzione di Udine, hai preso la parte per 11 tutto e dal particolare hai saputo esprimere l’universale”. Valente ha usato “il grandangolo sui fatti del ’30 e del ’40, il punto di frattura tra il vecchio e il nuovo”. Anche grazie alle pagine di Valente, “Udine si è evoluta in modo curioso: punta al futuro guardando al passato. Ha il ritmo dei tempi nuovi, a volte li anticipa, ma la sua anima resta avvinghiata al profumo persistente delle sue mura medievali”.
Di questa città “così appartata e cosi duratura, Valente è il cantore”. La sua intuizione? “Aver trasformato il piccolo universo udinese in un racconto autobiografico intriso di bonaria ironia”.
Cosi “il giornalista si è elevato a scrittore”; e ha perfino coniato un suo linguaggio, che Fortuna ha definito: “La terza parlata di Udine. La tua scrittura è un sigillo d’originalità. C’è la poesia, senza la quale sarebbe impossibile coniugare le memorie con il sentimento”.
“Grazie Renzo”, ha concluso Fortuna, “da una città che ha imparato a volerti bene perchè hai saputo commuoverla”. E Valente, con la proverbiale ritrosia del perfetto udinese (ma commosso): “La città mi ha donato in quest’ora più di quello che lo le ho dato in ottant’anni”.
Michele Meloni