di Renzo Valente
C’è qualcuno che da lassù ogni tanto mi rimprovera per una colpa che in coscienza non mi pare di aver commesso. Dice che ho raccontato le mie vicende africane esagerandone la portata, romanzandole, sbandierandole con tanta presunzione da far credere di essere stato protagonista di chissà mai quale impresa. Bisogna che ti calmi, dice, a leggere quello che scrivi sembrerebbe che la Libia l’abbia persa soltanto tu mentre invece ci risulta che insieme a te c’erano anche altri. Sei un accentratore, un egoista, un esibizionista, esisti solo tu. Insomma me ne ha dette di tutti i colori.
Lo conosco, mi conosce, ci conosciamo. Nati concittadini, coscritti nel medesimo distretto, chiamati e richiamati suppergiù negli stessi anni, entrambi abbiamo fatto la guerra, lui nel freddo, io nel caldo, uno alpino, l’altro aviatore. Dei due,l’aviatore l’ha fatta tutta, l’alpino invece appena la metà, e da quando ha dovuto sospenderla e cambiare itinerari, accolto da San Pietro a braccia aperte, vieni caro, riposati un poco, si trova nelle caserme celesti e sembra anche, a quanto dicono le talpe, abbastanza bene.
Peccato l’equivoco.
Siamo sempre andati d’accordo; fra noi non ci sono mai stati contrasti, tutt’al più qualche spigolo, ma si smussava, si combinava, e mi dispiace che stavolta trovi da ridire, e in modo piuttosto serio e severo, su quella che, almeno secondo le mie intenzioni, avrebbe dovuto essere una informazione assolutamente obiettiva. Non mi ha capito. Si vede che anche gli angeli qualche volta prendono le cantonate, Tuttavia scusami, gli mando a dire tramite il santo di turno, non volevo, non pensavo, mi pareva. Niente da fare, continua a rimproverarmi.
E a parte l’esibizione, dice, travisi anche la verità. A sentirti sembra che abbiate fatto tutto voi, che non si avrebbe potuto fare la guerra senza di voi e che si è perduta perché c’erano anche gli altri. Un po’ di umiltà non vi farebbe male.
Anche questa. Mi rinfaccia anche questa. Ma che cosa ho detto? Soltanto che anche noi abbiamo fatto la nostra parte. Mùgola. Si stizzisce. La vostra parte, dice, e gli alpini? Gli alpini non sappiamo, probabilmente la loro, può darsi. Comunque anche noi le bombe, anche noi i carri armati, anche noi i cannoni, senza tener conto dei convogli nel Mediterraneo, nave dietro nave, con i sommergibili che ci aspettavano al varco. Può darsi, dice, però gli alpini. Ma anche noi i pidocchi, la scatoletta, la galletta. Può darsi, però gli alpini. Ma anche noi i morti. Può darsi, ma non i morti degli alpini. Va bene, non i morti degli alpini, ma anche noi i nostri. Il deserto ardeva, bruciava, bolliva, era un cimitero. Anche voi, può darsi, però gli alpini altro che deserto, sono il cimitero dei cimiteri. Contàteli, contàteli i vostri, e adesso contate i nostri. Che ne dici? E i nostri vivi che non sono ritornati non sono come morti?, E poi i luoghi. Sarete stati bravi anche voi ma eravate all’asciutto, nel caldo, nel bel tempo perpetuo, e noi invece nell’acqua; nel fango, nella neve, e: ogni cosa era di ghiaccio, anche l’anima. Voi marciavate in aeroplano, noi con i muli, voi avevate gli autocarri che vi portavano la mitragliatrice, noi ce la portavamo sulle spalle. Per voi quasi sempre minestra e scatoletta, per noi quasi sempre scatoletta e panorama, e ti dico io che panorama che era, e più avanti nemmeno quella, qualche volta un seme di girasole, a trovarlo, e se non c’era morivamo, o morivamo lo stesso, e se sopravvivevamo, se si sopravviveva, eravamo fantasmi di stracci e di ghiaccio in un paesaggio di ghiaccio.
Abbiamo capito, anche voi, anche voi, ma noi si moriva di sete, si combatteva a vista, ci bombardavano, ci mitragliavano dal mare, dal cielo e dalla terra giorno e notte, notte e giorno, i carri armati erano cento dei loro contro uno dei nostri, gli aeroplani uno dei nostri contro cento dei loro, e la benzina non arrivava, e l’acqua neanche, e la posta neanche, e si viveva nelle buche, si mangiava sabbia e pidocchi, e qualcuno ci rimaneva per sempre. Abbiamo resistito quanto più si poteva. Non si poteva di più. Un macello. O Dio, questo qua adesso si mette a piangere, dice, che fai, piangi? Su su, ormai è passata, non è più il caso. Figurarsi. Siete stati bravi anche voi, bravi voi e bravi noi, non potevamo fare di più, bravi, bravissimi noi e voi, però gli alpini.
Non è colpa vostra. Voi siete provvisori e quando non avrete più l’età finirete di essere aviatori, noi invece siamo permanenti e quando non avremo più l’età continueremo ad essere alpini. Gli alpini sono di razza, altro stampo, altra marca, altra stoffa. Gli alpini servono messa e già sono alpini, nascono alpini, crescono alpini. Scrivono sui muri viva la classe, scendono al distretto con il fazzoletto tricolore, ritornano a casa abili arruolati e sul foglio del congedo provvisorio c’è scritto nel Corpo degli alpini. Possono non essere alpini con quelle misure, quel peso, quel torace, di quel paese? Scontato. Escono dal congedo illimitato e rimangono alpini vita natural durante. Serve, serve anche per trovarsi, per rivedersi, per bere un bicchiere insieme, ti ricordi, ti ricordi ti ricordi, si ricordano, il tenente, il capitano, il maggiore, giudaporco e orcobôe, la caserma, i muli, le marce, giudaporco e orcobôe, che naja.
E se è venuta anche la guerra, coraggio, bisogna farla. Ci dispiace, dovete tornare. Ci dispiace, ma che cosa cambia? Alpini siete sempre stati e lo siete ancora, non cambierà niente. Eh, no, un momento, per cambiare cambia, sono cambiate invece tante cose, non siamo più giovani, nostra madre è morta, nostro padre altrettanto, la moglie,è ingrassata, i figlioli vanno già a morose, e poi gli interessi, il lavoro, gli impegni, la casa da finire di pagare, il trattore da finire di pagare, il motorino, giudaporco, da finire di pagare. Per essere cambiato è cambiato molto da quella volta, però se tocca tocca, siamo qua. E sono ritornati in caserma, giudaporco e orcobôe, tôcio e paîs, con la cartolina rossa che era un poco più malinconica del fazzoletto tricolore. Siamo qua. Non hanno detto la patria è in pericolo, la patria ci chiama, la patria ha bisogno di noi, difendiamola patria, no, questo non l’hanno detto, questo si leggeva sui giornali; lo predicavano alla Radio, lo tuonavano dai balconi, hanno detto soltanto siamo qua. La patria non l’hanno nemmeno nominata.
La patria gli alpini se la sono portata dietro insieme alla casa e, come si sa, per ogni galantuomo la casa è ambizione, orgoglio, dignità. Bisogna tenerla pulita per farle fare buona figura e nessuno potrà mai dire di aver trovato la casa degli alpini sporca.
Ma dài, non mettiamoci adesso a litigare, siamo stati bravi noi e siete stati bravi anche voi, bravi gli alpini e bravi gli aviatori, bravi questi, e bravi quelli, però gli alpini.