di Renzo Valente
A festeggiamenti ultimati, poichè anche il giornale se ne è occupato, affido al giornale ciò che avrei dovuto dire e che l’instabilità del cuore, sottoposto ad accelerazioni inconsuete, mi ha impedito di dire.
Pertanto, spente le luci, esauriti i clamori, ritornata insomma la calma e precisato che se ho compiuto ottant’anni non è merito mio bensì demerito di mia madre che mi ha fatto nascere prima e non dopo, mi corre l’obbligo, come si dice o si diceva in tempi migliori, di riconoscere alla mia città la bravura di avermi dato in un’ora tanto di più di quanto io stesso non le abbia dato in ottant’anni.
Ottant’anni, c’è un riferimento. Quando Emilio Girardini, nel 1938, ha compiuto gli ottanta, il Comune gli ha preparato adeguati festeggiamenti, quasi come quelli che hanno fatto a me, forse meno, e gli ha consegnato, come a me ma forse più piccola, una medaglia d’oro.
Ebbene, in quella circostanza, il gentile poeta cieco, a cui mi legava la commovente devozione del discepolo per il maestro, seduto sulla sedia che il podestà gli aveva assegnato, mi pareva uno che veniva da lontananze incredibili. Non avrei mai creduto, mai immaginato, mai supposto che un giorno, venuto a mia volta da lontananze incredibili, mi sarei seduto sulla sedia degli ottantenni.
Possiamo anche riderci su, ma bisogna provare.
Al presidente della Provincia Pelizzo, al sindaco di Udine Barazza, al presidente del Circolo della Stampa Cojutti, al direttore di questo giornale Gervasutti, al collega Piero Fortuna, e a quanti altri devo la pena di essermi trovato esposto in vetrina, di sentirmi dire che nella mia vita non ho mai commesso uno sbaglio, che non ho mai messo una virgola fuori di posto, che sono stato buono e bravo, a tutte queste persone, altrettanto buone e brave ma impietose, la comprensione, l’indulgenza e il perdono da parte proprio di quel cuore che, loro malgrado, hanno costretto agli straordinari.