di Renzo Valente
In tempi di improvvisate, di imprevisti e di sorprese, che sembra davvero di essere in un uovo di Pasqua càpita pure che uno debba andare in farmacia a prendersi un’aspirina e trovi anche lì da meravigliarsi. È a due passi, gli è comoda quella di via del Monte. Entra, non gli pare, ha sbagliato negozio. Pazienza, succede. Esce di nuovo, alza lo sguardo, rilegge
l’insegna, Farmacia Puicher, dice l’insegna, non ha sbagliato, rientra. Stavolta nota ci sono dubbi, è in farmacia, dovrebbe essere in farmacia, eppure non è in farmacia. Non c’è il bancone, non ci sono i farmacisti, non c’è nessuno, è soltanto un muro di scatole. Cerca di orientarsi, vediamo dall’altra parte, proviamo. Aggira il muro, scende, la farmacia è qua, i farmacisti sono qua e qua ci sarà anche l’aspirina. C’è, gliela danno e chiede come mai. Come mai che cosa. Come mai due farmacie in una. Gli spiegano che è moderno, che è comodo, che è una trovata, le scatole davanti, l’aspirina dietro. Originalità, praticità, civetteria.
Non è abituato a questi impatti, ma l’attimo di smarrimento passa, si calma e riflette. La farmacia ha cambiato faccia, si è aggiornata, è ringiovanita. Basta un niente per accorgersene, per rendersene conto. Lo riconosce, lo ammette, ne conviene.
Al punto in cui eravamo, doveva. Guardiamoci negli occhi. Ultimamente pareva insoddisfatta. Si entrava, c’era il bancone, c’erano i farmacisti e i clienti a vista. Solito, normale, banale. Ricetta, scatoletta, scontrino. Una noia. Si poteva andare avanti così? Non si poteva. Bisognava darsi una regolata.
È stata come una folgorazione. Dividiamo la farmacia in due, di qua l’erboristeria, l’omeopatia, l’energetica, di là l’aspirina. Non si è risparmiato uno spazio che sia uno. C’è una parete piena di cassetti, si tira, si pescano i medicinali e poi rientrano da soli, c’è un salottino per le confidenze, un purgante, un assorbente, un hatù, c’è l’ufficietto per i conti, c’è il camerino per il controllo della pressione, c’è anche quello del prelievo del sangue, colesterolo, trigliceridi, glicemia, c’è il pensatoio del magazziniere, e c’è pure un divanetto per i pensionati, se sono stanchi si siedono. Tutto occupato. Non avanza neanche mezzo metro, e meno male che il gabinetto è di sopra, due scalette ed è a portata di mano, si fa per dire.
Via del Monte, Giuseppe Puicher, la sua farmacia.
Veniamo da lontananze incredibili, eravamo dirimpettai, più avanti addirittura coinquilini, facemmo vita in comune negli stessi anni, negli stessi luoghi, con gli stessi personaggi. Via del Monte allora andava sulle misure di ognuno, vi trovavamo quanto ci occorreva, non ci mancava niente.
Avevamo cinque negozi di mercerie, Agnola, Stùrolo, D’Agostini, Cantarutti, Del Bianco, due orefici, Stabile e Rocco sull’angolo con via Mercatovecchio, Santi sulla metà della strada, un raffinato incisore su oro e su preziosi, Pio Galliussi, un parrucchiere per signora, Guido Guandalini, un negozio di musica, Emilio Uber, uno di ombrelli e di berretti, le sorelle Bertoglio, un cambio- valute, Luigi Conti, un tabacchino sull’angolo con piazza San Giacomo, Cesare Del Pup, un presidente dell’ospedale, il colonnello Italico Rubbazzer, una Cassa di Risparmio e una farmacia fornitrice della Real Casa.
Via del Monte, la sua, la mia via del Monte, quegli anni, quella farmacia incorporata nel palazzo della Cassa di Risparmio, quel Giuseppe Del Bianco che sulla porta del suo negozio mi chiamava, mi metteva di profilo e di fronte e si rivolgeva ai figlioli, vârda Marcello, vârda Antonietta, ve ricordêo so pâre, spudà, quell’Enrico Stùrolo che da sotto il banco mi alzava Facanapa facendogli fare le boccacce, siôr Rico cosa dîlo Facanapa, el dîse che te tâsi un poco, quell’Emilio Uber che vendeva dischi e grammofoni a tromba e che mi faceva ascoltare in esclusiva le novità appena giuntegli da Milano, Balocchi e profumi, il Ciondolo d’or, Capinera, quel colonnello Rubbazzer che mi firmava il permesso per andare a trovare la nonna in ospedale, quel Luigi Stabile che era stato il sàntolo della mia prima Comunione e che nella circostanza mi aveva regalato un magnifico Longines con la catena d’oro finiti entrambi al Monte di Pietà il giorno dopo, quel Giuseppe Rocco che al mio arrivo scattava sull’attenti, mi faceva il saluto militare e si lasciava passare in rivista, at-tenti, ri-poso, omaggi al nostro granatiêr, quell’Enrico Santi che era il nostro padrone di casa, che non ci aveva mai sollecitato un arretrato nemmeno quando eravamo rimasti indietro di due anni e che manteneva una gioielleria sempre piena di contesse.
E le finestre, infine, quelle finestre di quel quarto piano del numero 6, che per quarantasei anni sostennero una parte importante nelle vicende della nostra lunga permanenza in via del Monte e per ventotto anni mi permisero di controllare da lassù il movimento della farmacia e dello stesso Puicher che vedevo entrare e uscire quattro volte al giorno e ogni sera accompagnare sulla porta gli amici del salottino, il generale Vaccari, il generale Guzzoni, il colonnello Dalla Bianca, il colonnello Cimolino, il professor Gherardini, il professor Bellavitis, il dottor Murero, il dottor Pitotti, il dottor Miotti, il conte de Pace, quasi una dipendenza del Dorta, un po’ di crema di Udine, che vi faceva soste gaudiose intrattenendovisi in lunghi e proficui conversari, politici, militari, borghesi, mondanità, frivolezze, pettegolezzi.
Una farmacia insomma di prima della guerra, di quelle che non vendevano soltanto pillole ma che erano anche il laboratorio del sindaco, del parroco e del maresciallo dei Carabinieri, mentre invece adesso non si ha tempo per queste cose, si corre, si ha premura, non posso, non posso, scusami, non osso, e nemmeno si ha voga, si ha voglia solamente di televisione, di vacanze e di soldi. Poveri noi, in che stati che siamo ridotti. Ci vendiamo per una canzone di Sanremo, per una gita a Capri o per un pugno di dollari. Mala tempora e sic transit.
Eppure, nonostante che i tempi avessero già cominciato ad essere mala e le glorie stessero per transitare, e nel frattempo la farmacia fosse stata trasferita sull’altro lato della strada, lì di fronte, sulle ceneri della defunta Gioielleria Santi, il salottino sopravvisse. Non era più quello di prima della guerra, era di dopo, gli interlocutori non erano più quelli, erano altri, tuttavia, anche senza generali e senza crema, rimase tale e quale e continuò ad esserlo fino al giorno in cui il patriarca di via del Monte, che aveva ormai i baffoni da Birra Moretti, non si accorse che stava compiendo novantacinque anni.
Era ora di chiudere. Novantacinque non sarebbero neanche tanti se non mancassero soltanto cinque a farne cento, comunque non se la sentì di insistere, almeno in via del Monte, e c’è proprio da credere, forse la spiata di un angelo, che una volta lassù, con il permesso di San Pietro e le benedizioni di chi lo aveva preceduto, lo abbia rimesso in piedi approfittando della disponibilità di una delle poche farmacie di prima della guerra che ancora funzionano da quelle parti.